Stress e disturbi d’ansia
All’interno della medicina psicosomatica uno dei filoni principali di ricerca riguarda il ruolo dello stress nello sviluppo delle malattie somatiche e psichiche: la scienza ha ormai chiarito che lo stress gioca un ruolo chiave nello sviluppo dei disturbi d’ansia e degli attacchi di panico. Gli effetti dello stress si riversano sul piano biologico e su quello psichico creando un circolo vizioso di azioni e reazioni tra corpo e mente. Nell’essere umano lo stress e l’ansia sono strettamente collegati e possono essere visti come due facce della stessa medaglia dal momento che la nostra vita è continuamente sottoposta a fattori stressanti di vario genere che possono provocare una risposta d’ansia.
L’asse dello stress
Hans Selye[1]è stato il primo a descrivere la risposta fisiologica dell’organismo allo stress: egli dimostrò che la reazione di stress è un meccanismo di adattamento innato, presente tanto negli animali che nell’essere umano, che scatta automaticamente ogni volta che l’individuo è esposto a un pericolo e la sua sopravvivenza è minacciata.
Secondo Lazarus (1999) per stress si intende qualsiasi evento in grado di turbare l’equilibrio dell’organismo e metterlo in pericolo: che si tratti di un’infezione batterica, di un’aggressione da parte di un predatore, di un incidente o della perdita di una persona cara, il nostro sistema nervoso è biologicamente predisposto per rispondere alla minaccia attraverso la secrezione da parte delle ghiandole surrenali di ormoni che provocano dei cambiamenti fisiologici che ci consentono di allertarci per fronteggiare l’evento stressante e di rispondere con comportamenti di attacco o fuga a seconda della situazione. Queste modificazioni fisiologiche a livello psichico sono collegate ad un’emozione di ansia e di paura.
Precisamente, la risposta di stress consiste prevalentemente nell’attivazione di due sistemi:
- l’asse ipotalamo-ipofisi-midollare del surrene grazie alla secrezione di adrenalina e noradrenalina;
- il sistema ipotalamo-ipofisi-corticale del surrene con la secrezione neuroendocrina degli ormoni dello stress (cortisolo, ACTH).
L’effetto di adrenalina e cortisolo è quello di aumentare lo stato di allerta dell’organismo, attivare la concentrazione mentale, mobilitare energia per metterla a disposizione dei muscoli e aumentare il tono cardiovascolare e la capacità respiratoria.
Il sistema della paura
Secondo il neuroscienziato americano Jaak Panksepp[2](1998) la paura è una delle cinque emozioni di base che si sono evolute per garantire la sopravvivenza dell’individuo: essa permette di riconoscere prontamente una minaccia e di prepararsi ad affrontarla.
L’ansia, così come la paura, svolge una importante funzione di difesa perchè consente addirittura di anticipare la percezione di un eventuale pericolo prima ancora che quest’ultimo sia sopraggiunto, preparando l’individuo all’azione.
Joseph Le Doux (2002)[3] ha scoperto che l’amigdala, una piccola struttura neuronale situata alla base del sistema limbico, svolge un ruolo fondamentale nelle risposte di paura: non appena i nostri sensi percepiscono un segnale di possibile minaccia, questa piccola struttura invia segnali verso alcune strutture del tronco dell’encefalo e verso vari nuclei dell’ipotalamo che attivano la produzione degli ormoni dello stress e quindi tutte le reazioni neuroendocrine prima descritte.
Come nascono i disturbi d’ansia
Sebbene l’ansia e la paura abbiano un valore di sopravvivenza notevole, nell’essere umano la risposta di stress può essere scatenata anche dalla sola anticipazione mentale di un possibile pericolo e perciò il solo atto di pensare a qualcosa di preoccupante può causare ansia e apprensione.
Da questo possono derivare dei problemi e nascere dei disturbi: alcune persone, se vengono sottoposte a stress intenso e in maniera prolungata, tendono a sviluppare una risposta di allarme generalizzata: lo stress cronico le porta a convincersi che bisogna stare sempre in guardia e alla lunga il sistema della paura, costantemente attivato, inizia a produrre risposte neurovegetative esagerate di fronte a qualsiasi stimolo stressante. Di qui la via per un disturbo d’ansia o un disturbo da attacchi di panico è breve.
Secondo Le Doux (2002), il fatto che determinati stimoli siano in grado di suscitare in noi delle emozioni di paura dipende dalle esperienze che abbiamo vissuto nel passato. Questo meccanismo si chiama condizionamento della paura ed è stato scoperto attraverso alcuni esperimenti svolti sui ratti. Sottoponendo dei ratti ripetutamente a uno stimolo doloroso, Le Doux ha osservato che nell’amigdala si moltiplicano le connessioni e ha notato che i ratti cominciano a mostrare una risposta di stress anche alla sola vista di uno qualunque degli elementi della situazione in cui hanno provato dolore.
Questo è stato dimostrato anche nell’uomo: l’amigdala può provocare una reazione di stress in presenza di qualsiasi elemento che lo ricollega a una situazione traumatica, senza che avvenga alcuna valutazione consapevole dello stimolo. Così, anche un luogo o una situazione particolare possono suscitare paura intensa, come avviene infatti nelle persone che soffrono di attacchi di panico, che tendono ad associare le crisi a certe situazioni e luoghi specifici nelle quali si è verificato il primo attacco e quindi imparano a temere ed evitare tutte le situazioni che li possono ricollegare ad esso.
Le Doux ha illustrato che nel fenomeno della paura sono implicate due vie cerebrali:
- una via breve, che dal talamo passa direttamente all’amigdala e fornisce solo una rappresentazione imprecisa dello stimolo, innescando così una risposta puramente emotiva ed istintiva che consente all’organismo di rispondere ai possibili pericoli scatenando la tipica reazione di stress anche prima di sapere esattamente quali siano.
- una via lenta che dal talamo passa prima per la corteccia e poi proietta all’amigdala e ha un tempo di elaborazione superiore perché nelle aree prefrontali lo stimolo emotivo viene elaborato prima di raggiungere la consapevolezza. Le aree associative della corteccia prefrontale formano dei giudizi sulle informazioni ricevute e poi promuovono comportamenti basati su questi giudizi. Tuttavia, questo secondo circuito, essendosi evoluto in tempi più recenti, possiede minori connessioni ed è meno efficiente rispetto al primo ed è per questo che per gli esseri umani è ancora molto difficile controllare e gestire le proprie emozioni.
Tra l’altro Le Doux ha notato che le reazioni emotive apprese attraverso l’amigdala sono molto persistenti e che anche a molta distanza di tempo dall’evento traumatico l’amigdala può seguitare a reagire in maniera del tutto automatica di fronte a un elemento ambientale.
Questo significa che le risposte di paura scattano al di fuori della nostra volontà e del nostro controllo e che, ogni volta che ci troviamo in una situazione che ci provoca ansia, deve intervenire un processo di elaborazione psichica a livello delle cortecce associative per impedire che esse si manifestino anche quando non sono più appropriate. Questo autore è riuscito così a spiegare la ragione per cui spesso siamo schiavi delle nostre paure, anche se razionalmente le riteniamo irragionevoli, e ha fornito così una motivazione alle risposte emotive abnormi, come quelle implicate nei disturbi d’ansia, negli attacchi di panico e nelle fobie.
Effetti psichici dello stress cronico
Negli anni Cinquanta i neurofisiologi John Seymour Levine e Jay Weiss hanno scoperto alcuni effetti fondamentali dello stress: esso tende ad acutizzarsi se non c’è sfogo alla frustrazione, se si perde il controllo della situazione, se manca il sostegno sociale e se non ci sono speranze di miglioramento.
Quando lo stress diventa cronico, l’esposizione prolungata a una situazione intollerabile dal punto di vista fisico ed emotivo può comportare l’instaurarsi di una risposta di allarme generalizzata che può sfociare nello sviluppo di un disturbo d’ansia oppure nello sviluppo di un disturbo di panico.
Inoltre è stato dimostrato che l’alterazione del sistema dello stress e la sovrapproduzione di cortisolo possono causare atrofia dell’ippocampo, l’area cerebrale deputata sia alla formazione della memoria a lungo termine sia alla regolazione della risposta allo stress. Uno stress troppo intenso quindi interferisce con il consolidamento dei ricordi e danneggia la funzione regolatoria che l’ippocampo normalmente esplica sull’asse dello stress, che pertanto diventa iperattivo e sregolato[4].
È stato anche documentato che a seguito di stress elevato si verifica una riduzione del volume dei lobi prefrontali, che come abbiamo visto sono aree importanti per la regolazione del comportamento emotivo. L’amigdala d’altro canto, a differenza dell’ippocampo e delle cortecce prefrontali, in caso di stress emotivo tende a ingrandirsi e diventare iperattiva.
Queste modificazioni cerebrali prodotte dallo stress spiegano a livello biologico perché quando si è in una situazione di stress elevato diventa così difficile gestire le emozioni, rapportarsi positivamente agli altri, prendere decisioni consapevolmente e ragionare in maniera logica.
Effetti dello stress infantile
Interessanti studi delle neuroscienze hanno indagato gli effetti deleteri dello stress infantile sullo sviluppo della personalità adulta.
Come la psicologia evolutiva ha evidenziato, le prime esperienze con le figure di accudimento sono fondamentali nel plasmare le capacità dell’individuo di gestire le emozioni e di reagire in maniera adeguata agli eventi della vita. Le persone con attaccamento preoccupato hanno il sistema dello stress costantemente iperattivo e questo le induce a reagire in maniera esagerata a qualsiasi tipo di stress e le predispone a sviluppare disturbi d’ansia o psicosomatici.
Sembra che i figli trascurati, rifiutati o allevati da madri poco attente si portino dietro un imprinting a livello biologico che li rende fragili e meno adatti a fronteggiare le sfide della vita.
Queste intuizioni sono state recentemente confermate attraverso studi sperimentali che hanno osservato gli effetti dello stress in età precoce sullo sviluppo del sistema nervoso. Alcuni topolini cresciuti in laboratorio che sono stati allevati da madri poco accoglienti, in età adulta, sottoposti a situazioni di stress, si sono dimostrati meno resistenti e capaci di reagire rispetto ai cuccioli che erano stati allevati da madri affettuose. Nei cuccioli trascurati sono state trovate alterazioni nell’espressione genetica dei recettori del cortisolo che comportavano in risposta a eventi stressanti una secrezione di cortisolo eccessiva rispetto ai topolini di controllo.
Quegli individui che non hanno potuto sviluppare un legame di attaccamento sicuro durante i primi mesi dell’infanzia, quando si trovano ad affrontare eventi che comportano la perdita di legami significativi o la perdita della sicurezza in generale non riescono a reagire, ma vanno letteralmente nel panico.
A livello neurofisiologico si osserva un’iperattività del sistema nervoso parasimpatico e una elevata secrezione di cortisolo. Questo ormone è implicato nella difesa dal pericolo tramite il blocco totale dell’attività e l’inibizione dell’aggressività.
Questa reazione psicosomatica, che vari autori hanno chiamato conservazione/ritiro per distinguerla da quella di attacco/fuga (Alexander, 1950; Engel e Schmale, 1967) caratterizza la tipica modalità di risposta allo stress degli individui dipendenti, che nelle situazioni di emergenza vanno alla ricerca di cure e protezione e mostrano comportamenti di sottomissione che tipicamente sono più attribuiti al genere femminile. Tale meccanismo genera uno stato di angoscia e impotenza psichica molto simile alla depressione con sentimenti d’impotenza, sfiducia e disperazione[5].
[1] Selye, H., The Stress of life, McGraw-Hill, New York, 1956.
[2] Panksepp J., Affective Neuroscience: the foundations of human and animal emotions, Oxford University Press, New York, 1998.
[3] Le Doux J., Il Sé sinaptico, Raffaello Cortina, Milano, 2002.
[4] Sapolsky R., Perché le zebre non si ammalano di ulcera?, McGraw Hill, Milano, 1999.
[5 Sapolsky R., Domare lo stress, Mente e Cervello, n.7, pp. 46-55, gennaio 2004.
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